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Serial Killer Biografia Gianfranco Stevanin

Nome Completo: Gianfranco Stevanin
Soprannome: Il mostro di Terrazzo
Nato il: 2 ottobre 1960 - Morto il: in vita
Vittime Accertate identificate: 4 - Non id: 2
Vittime di violenze (sopravvissute): 2

Gianfranco Stevanin
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MODUS OPERANDI: Educato, gentile, sadico e amante del sesso estremo, finiva, al suo dire, per incappare in incidenti di percorso...le sue vittime morivano durante l’amplesso, strozzate o soffocate da lacci o sacchetti di plastica, poi fatte a pezzi disseminate qua e là oppure interrate....

Biografia Gianfranco Stevanin:
il "mostro di Terrazzo"

 1.4. Esame delle perizie

             Bio G. Stevanin inizio Indice
  Perizia psichiatrica G. Stevanin
  Intervista Gianfranco stevanin
  Arresto, indagini, rinvio a giudizio
  Storia della vita di G. Stevanin
  Il materiale sequestrato
  Esame delle perizie
  Le perizie d'ufficio
  Le perizie dell'accusa
  Le perizie della difesa
  Processo Corte d'Assise
  Sul banco dei testimoni
  Richiesta della pena
  Sentenza Corte d'Assise
  Processo Corte d'Appello

Sono state molte le volte che i periti hanno incontrato Gianfranco Stevanin, così come lo sono state le ore di colloquio; di conseguenza, lunghe e dettagliate sono state le relazioni psichiatrico-forensi sulle condizioni di mente del periziando, presentate durante l'incidente probatorio.

1.4. 1. Le perizie d'ufficio

I periti d'ufficio, Ugo Fornari e Ivan Galliani, nominati dal Gip del tribunale di Verona, Carmine Pagliuca, hanno ricevuto l'incarico ben due volte, una in data 13 aprile 1996, l'altra in data 21 settembre dello stesso anno. I risultati dei test effettuati sono i seguenti:

  • Scala di intelligenza Wais, Q.I.=114; si tratta di un soggetto con buona dotazione originaria, con armonico sviluppo delle funzioni psichiche.
  • Test di Behn-Rorschach; mette in evidenza un'affettività "guardinga", un adattamento affettivo con poca libertà e flessibilità, mediato dal calcolo e dal ragionamento; si può, quindi, desumere l'esistenza di meccanismi di ipercontrollo rigido.
  • Test di Rosenzweig; rivela la presenza di un elevato numero di risposte extrapunitive, indice di vulnerabilità dell'Io.
  • M.M.P.I.; il profilo che ne deriva, rivela una preoccupazione del soggetto di fornire un'immagine di sé convenzionale, verosimilmente al fine di evitare presunti giudizi negativi.
  • IPAT (ASQ); rivela il livello d'ansia; il risultato ottenuto si riscontra, di solito, in soggetti eccessivamente rilassati, sicuri.
  • TAT e ORT; mostra una buona capacità di identificazione nelle situazioni, nei personaggi e nell'atmosfera emotiva.

Al termine dei test, i periti commentano con Stevanin i profili ed i risultati di essi, affermando che è ben dotato intellettivamente, non emergono difetti di memoria, non ci sono dei grossi indici di dispersione; di fondo, non è una persona ansiosa e neppure depressa; risulta essere un soggetto sospettoso e cauto; emerge anche una certa aggressività, il bisogno di tenere tutto sotto controllo (elemento tipico dei serial killer) e l'incapacità di lasciarsi andare alle emozioni. La madre. Durante i colloqui con i periti, Stevanin parla a lungo della madre, con la quale dice di aver avuto sempre un buonissimo rapporto. Spiega, però, di non essere mai riuscito ad avere una relazione duratura con le ragazze (fatta eccezione per Maria Amelia), perché lei si intrometteva sempre; afferma: "mia madre era peggio di uno 007, era praticamente impossibile depistarla, era peggio di un segugio, praticamente mi faceva dire quello che in realtà io le volevo tenere segreto".

(24) Da un certo momento in poi, Stevanin esclude i suo genitori dalle sue storie personali facendo di testa sua; tutto questo rivela, secondo i periti una rapporto molto conflittuale ed oppositivo con la figura materna. Sua madre, comunque, ha avuto una grande importanza per lui, specie nei primi quattro anni della sua vita. Tanto che, alla fine, ammette che potrebbe aver influito molto l'allontanamento dalla famiglia e la chiusura in collegio, dove si sentiva oppresso e non amato; tutto questo lo ha fatto soffrire perché non è più stato oggetto delle cure e dell'attenzione della madre. Afferma, infatti, che "l'affetto della madre è un affetto unico; più nessuno nella vita dà quello che la madre ha dato ad ognuno di noi quando eravamo bambini; mia madre, senz'altro, mi dava tutto il possibile";

(25) questo è il suo convincimento, cioè che la madre fosse sempre dalla sua parte, nonostante l'avesse mandato in collegio ed avesse per questo motivo patito un senso d'abbandono. Infatti, quando scappa dall'istituto, ha il suo primo rapporto sessuale con una donna sposata, proprio perché in lei cerca, per i periti, più l'affetto che non la libertà e quella donna rappresenta per lui l'immagine materna.

Secondo Fornari e Galliani, la madre ha sempre considerato Gianfranco Stevanin come un bambino, non lo ha lasciato crescere; addirittura quando in un incidente provoca la morte di una persona, la madre lo tranquillizza e lui stesso disse che lei aggiunse: "ti comprerò una macchina nuova". È nell'infanzia, dicono i periti, che si è costruita una figura fonte inesauribile di gratificazioni, poi la frustrazione di un bisogno e la delusione di un'attesa gli può aver causato un trauma. Si ha "un involuzione del sentimento", fino al suo spegnimento, con la progressiva prevalenza dell'erotismo, fino al trionfo assoluto di questo. La constatazione: "la donna non mi può dare spontaneamente e disinteressatamente quello che mi dava mia madre", esprime la sua profonda delusione; quindi l'amore originario si è un po' per volta trasformato in odio per la donna, pur continuando a cercare nella figura femminile la fonte della gratificazione primaria; costatando però la vanità di questa ricerca, ripiega su condotte di compensazione.

La figura della donna

Dal quel momento in avanti, la donna non è stata più vissuta da lui come buona e tutte le esperienze che ha avuto hanno consolidato in lui quest'idea. A livello inconscio, spiegano i periti, Stevanin si è convinto che non sarebbe mai cresciuto, che non sarebbe mai stato in grado di stabilire una relazione paritaria con la donna e ciò per colpa della figura femminile stessa. Tutte le attese sono state deluse e Stevanin "chiude la partita degli affetti, perché convinto che le donne lo obbligassero a chiudere questa partita", (26) non perché egli non avesse il desiderio di dare affetto; si sente amareggiato perché le donne lo hanno "fregato pesantemente", iniziando dalla madre.

Secondo Fornari e Galliani, sacrificare l'affettività è stata la sua sconfitta; nel rapporto di coppia, egli si ritiene un perdente, un vinto e di questo ritiene responsabile la donna. Cercano di capire, i periti, cosa possa essere successo dentro di lui per arrivare ad uccidere quattro donne; ma egli stesso non sa spiegarlo; si cela dietro molti "non ricordo" e afferma che "la nostra memoria, nel decidere quali ricordi lasciare vivi e quali lasciar andare, opera una selezione. In base ad essa potrebbero mancare particolari importanti; è probabile che si cancellino i ricordi di poca importanza e quelli brutti". (27) Ha dei flash, rievoca qualcosa e "le uniche che seppellisce (la Pulejo e la Pavlovic), sono quelle che ricorda con affetto; delle altre due dice di non rammentare neanche il nome; del resto con queste ultime, non c'era legame alcuno"; (28) infine aggiunge che "se mi dicessero che ci sono altre vittime oltre a quelle quattro, non saprei cosa dire". Da queste risposte, spiegano i periti, non si riesce ad approfondire la psicodinamica dei suoi reati, né a comprendere appieno i suoi vissuti; il suo atteggiamento rimane bloccato e chiuso, non tradisce emozione alcuna.

L'attenzione di Stevanin, però, è altissima, è turbato, soprattutto vuol sapere se tutto il discorso fatto lo può portare al riconoscimento di una patologia che potrebbe averlo indotto a compiere i delitti; vuol sapere inoltre se e come interrompere questa potenziale patologia, sostiene infatti che "se gli argini posso metterli io, praticamente la pericolosità non ci sarebbe più". (29) Attraverso queste parole, affermano i periti, appare chiaro l'obiettivo perseguito da Stevanin e la sua strategia difensiva; del resto, dai colloqui effettuati non emergono sensi di colpa o rimorso verso le vittime ed i loro parenti.

I temi psicologici dominanti

Emergono alcuni elementi ricorrenti in molti momenti della sua vita, considerati dai periti di straordinaria importanza:

  1. l'abbandono, che non scatena soltanto la solitudine, ma spinge anche alla ricerca compulsiva di qualche forma di riempimento.
  2. il vuoto, che è "la negazione del sentimento"; Stevanin associa tristezza-solitudine-freddo; la mancanza totale di sentimento coincide, per lui, con la solitudine; "ho sentito la vera solitudine", ripete più volte, "soprattutto dopo la fine della storia con Amelia"; di contro, si collocano i vissuti legati all'amore e al sentimento, termini che associa a trasporto-amore-famiglia-fisicità-intimità.

I ricordi

Sono i periti, ma anche gli avvocati difensori che, in ogni incontro, sollecitano Stevanin a ricordare il più possibile dei momenti cruciali degli incontri con le vittime, quelli in cui è avvenuta la morte. Sono soltanto i racconti riguardo alla Pulejo e alla Pavlovic ad essere fluenti, proprio perché, come detto, sono quelle a cui Stevanin era in qualche modo legato; relativamente alle altre vicende le memorie sono bloccate, per queste ha dei flash; spiega che "non c'è una visione che mi porta da qui fino alla fine, vado spezzettato". Tutti i suoi ricordi, afferma di "riviverli come se rivivessi un sogno, non come di qualcosa che è veramente successo".

(30) Ed è così che, nelle lunghe rievocazioni ricche di "presumo di ricordare", "potrebbe essere", "non ricordo", "pensandoci bene", racconta di aver fatto a pezzi i corpi di alcune ragazze e che a quelle reminiscenze collega due flash di zone vicine a dei canali, dove potrebbe aver buttato i corpi o parti di essi. Sottolinea che nessuno di questi ricordi gli fa pensare ad un omicidio, precisando, però, che "questo lo dico per la mia coscienza, non per voi"; anzi ammette di essere raccapricciato all'idea di aver fatto qualcosa del genere e non sa darsi una spiegazione di come possa essere arrivato a tanto.

Nonostante i numerosi inviti dei periti, al fine di rinunciare ai suoi "non ricordo" ed incoraggiandolo in un clima estremamente comprensivo, Stevanin afferma: "io continuerò a sforzarmi, anche se mi costa; indipendentemente da quello che mi costa, se per caso dovessi ricordare parlerò; non è mica simpatico dover ricordare cose simili". (31) Nessuna rassicurazione da parte di Fornari e Galliani, quindi, è riuscita a smuoverlo più di tanto; tutto questo, secondo i periti, indica la natura tutt'altro che psicogena delle sue amnesie; infatti, la caratteristica propria del suo modo di non ricordare documenta in maniera quanto mai chiara che egli può ricordare tutto perfettamente, altrimenti non gli sarebbe possibile, a tratti, ricordare in modo così dettagliato.

Considerazioni conclusive. In primo luogo, Fornari e Galliani, sottolineano che Stevanin si è sempre presentato ai numerosi incontri avuti presso il carcere di Verona Montorio; si è dimostrato lucido, cosciente, perfettamente orientato nel tempo, nello spazio, nei confronti della propria persona e della situazione di esame. Hanno valutato la modalità di esposizione, osservando che è completamente aderente alla realtà processuale e alle sue esigenze, nonostante non abbia seguito un filo logico nella ricostruzione degli eventi. Stevanin è apparso, come detto, molto dotato sul piano intellettivo, attento, preciso, pignolo fino all'eccesso; una coerente e costante freddezza ha accompagnato ogni suo dire.

Affermano i periti che "Stevanin ha invocato improvvisi black-out della coscienza e rievocazioni del tipo dream-state, per quello che riguarda gli eventi più vicini ai delitti"; ma il modo in cui ha ricordato i fatti "è assolutamente incompatibile con un disturbo dello stato di coscienza, quale il soggetto vorrebbe far intendere esser stato presente in lui". (32) Nel fornire le proprie ammissioni, aggiungono, è molto attento alle esigenze processuali, ma anche a quelle di "immagine", allo scopo di apparire agli altri come una persona dedita a pratiche di sesso estremo, ma non come un sadico o un violentatore; è evidente la precisa intenzionalità di "ammettere quanto non può più essere ragionevolmente negato". I comportamenti sessuali, pur rivestendo carattere di abnormità e di perversione, non possono assumere valore di malattia; quindi non acquisiscono rilevanza alcuna agli effetti della valutazione dell'imputabilità. Non corrisponde ad alcuna "entità clinica e/o psicopatologica l'atmosfera di sogno e di irrealtà in cui il periziando ha cercato di ammantare le prime ammissioni"; (33) è evidente che Stevanin ha utilizzato questa modalità espositiva in modo intenzionale: "accampa dei ricordi in forma di flash e delle lacune amnesiche che vengono poi facilmente recuperate con ricordi dettagliati dell'ambiente in cui si sono svolti i fatti, degli oggetti, dei comportamenti, di ciò che è avvenuto dopo" (34).

Quindi i periti sostengono con sicurezza che questi dati non sono assimilabili a quegli "stati crepuscolari" tipici della personalità multipla. Affermano, altresì, che la capacità di giudizio, di analisi, di critica, sono perfettamente conservate e che Stevanin presenta una "cronica incapacità di dire il vero, un'eccessiva fiducia nelle sue capacità ed abilità, un temerario piacere a sfidare gli altri, una consumata abilità a presentarsi come vittima-carnefice, un freddo controllo della situazione peritale, una struttura narcisistica ed egodistonica, un mal dissimulato disprezzo per la donna". (35) Questi tratti sadici, perversi e narcisistici sono comuni alla maggioranza degli assassini seriali, per cui possiamo considerare Stevanin un serial killer tipico.

"In questi soggetti", continuano i periti, "il deterioramento dell'esperienza affettiva è espresso nella loro insofferenza per qualsiasi accrescimento di angoscia; nella loro incapacità di deprimersi provando un dolore che riguarda la loro persona; nella loro impossibilità di innamorarsi e di provare tenerezza nelle relazioni sessuali". (36)In conclusione, dal complesso delle loro indagini, dalle cartelle cliniche analizzate, dalla condotta avuta, Fornari e Galliani affermano che, al momento dei fatti per i quali è sotto processo, Gianfranco Stevanin non era affetto da alcuna infermità tale da costituire vizio parziale o totale di mente.

1.4.2. Le perizie dell'accusa

Lo psichiatra Marco Lagazzi ha partecipato, in qualità di consulente del pubblico ministero Maria Grazia Omboni, alle operazioni peritali condotte dai periti Fornari e Galliani sulla persona di Gianfranco Stevanin ed ha ritenuto necessario trarre alcune osservazioni di carattere clinico e psichiatrico-forense, riguardanti i seguenti aspetti della condizione clinica e comportamentale del periziando:

  • la definitiva valutazione circa la sussistenza o meno di patologie somatiche, neurologiche o psichiatriche, in atto al momento dei fatti.
  • lo studio del comportamento del periziando nella vicenda processuale e peritale.
  • la coerenza tra la personalità del periziando, messa in luce dalle protratte indagini peritali, e le caratteristiche proprie dei serial killer.

In merito al primo aspetto, Lagazzi ha rilevato che, come documentato dalla sua stessa storia clinica e dal diario clinico della casa circondariale, Stevanin "non risulta essere affetto da nessuna patologia somatica o psichiatrica di rilievo". (37) Al contrario risulta, sempre secondo Lagazzi, che il periziando ha mantenuto sempre una costante vita sociale e di relazione; la stessa meticolosità del soggetto nella descrizione delle pratiche sessuali, la capacità di ricordarne la frequenza, la durata delle stesse, consente di chiarire come, in ogni momento delle sue attività, Stevanin sia stato "pienamente edotto di quanto faceva" e come "conservi un adeguato ricordo di quanto vissuto e realizzato".

(38) Per quanto riguarda il tema dei "non ricordo", attraverso i quali Stevanin ha articolato il suo dialogo con i periti, il consulente dell'accusa sostiene che essi non corrispondano ad alcuna possibile manifestazione amnesica di carattere psicopatologico o deficitario. Oltre a ciò, rileva che non risulta documentato alcun ricovero ospedaliero in ambito psichiatrico, mentre risulta allegato solamente un trattamento psicologico, limitato nel tempo, risalente a molti anni addietro (a causa del trauma cranico riportato nell'incidente stradale del 1976). Quindi, Lagazzi, esclude con certezza ogni possibile dubbio circa la piena imputabilità del periziando. Circa questo aspetto delle indagini peritali e della situazione processuale, Lagazzi è perfettamente d'accordo con i suoi colleghi Fornari e Galliani, in particolare sul mantenimento del contatto con la realtà da parte di Stevanin. Afferma, infatti, che il periziando, in ogni momento delle indagini, ha sempre mostrato una costante attenzione per gli elementi che emergevano, un'eccezionale capacità di concentrazione e di gestione del dialogo; in questo modo esprime un'immagine di sé coerente con i suoi fini e con la sua strategia difensiva.

Lagazzi nota, inoltre, un'attenta consapevolezza delle notizie che emergevano attraverso la stampa ed una meticolosità nel proporre un'immagine di sé il più possibile positiva. Il perito definisce Gianfranco Stevanin "ben agganciato alla realtà", quindi del tutto adeguato rispetto all'esercizio dei propri diritti difensivi. Anche Lagazzi, come i periti nominati dalla Corte, è d'accordo nel sostenere la piena coerenza tra le caratteristiche di Stevanin e quelle proprie della maggioranza dei serial killer descritti nella letteratura e nella cronaca. Particolarmente importante, a questo proposito, è "l'eccessiva fiducia nelle sue capacità e quel temerario piacere di sfidare gli altri". (39) Proprio questo, infatti, è uno degli elementi tipici degli assassini seriali; la tesi della difesa, invece, è che questo è un sintomo di una ridotta capacità di intendere e di volere. Secondo Lagazzi, se questa teoria venisse accolta, nessun autore di omicidi premeditati potrebbe sottostare a processo.

Come abbiamo analizzato in precedenza, ognuno di questi assassini ritiene di essere più capace degli inquirenti e di farla franca; spesso, accade che sia proprio lo stesso assassino seriale a decidere la propria strategia difensiva, anche al di là dei suggerimenti dei propri difensori; proprio perché è convinto di saper gestire meglio il complesso gioco di menzogne, ammissioni e verità che intende proporre agli investigatori. In alcuni serial killer, spiega Lagazzi, questa tendenza a rifiutare la delega a terzi della propria difesa è molto evidente. Quindi non condivide, anzi considera addirittura fantasioso, voler qualificare questa scelta oggettiva come una "automatica diminuente della capacità processuale del periziando", come, invece, sostengono i consulenti della difesa.

Il perito del P.M. termina la sua relazione affermando che "nulla consente di identificare in Gianfranco Stevanin un minus habens, ma, al contrario, è un individuo la cui personalità e le cui risorse sono del tutto compatibili con i molti delitti realizzati e con l'impunità che, se non si fossero verificati il caso Musger ed i casuale ritrovamento dei reperti, forse ancor oggi lo caratterizzerebbe". (40) In conclusione, Lagazzi, ritiene di poter solo confermare le "chiare ed incontrovertibili valutazioni" alle quali sono giunti i periti Fornari e Galliani. Con questo riafferma la piena capacità processuale del periziando, attestando, con piena serenità e al di fuori di qualsiasi dubbio, l'assenza di elementi psicopatologici tali da integrare una condizione di infermità di mente; quindi ritiene necessario consegnare Stevanin al giudizio che lo attende, per i gravi e ripugnanti delitti da lui compiuti.

1.4.3. Le perizie della difesa

Gli avvocati Accebbi, Dal Maso e Roetta, difensori di Stevanin, nominano i periti Francesco Pinto e Giovanni Battista Traverso, per dare una valutazione del caso in chiave psichiatrico-forense e, quindi, per valutare la presenza, al momento dei fatti per i quali si procede, di un'infermità che ne limitasse grandemente o ne escludesse la capacità di intendere e di volere. I due esperti incentrano la valutazione dell'imputabilità su un episodio ritenuto da entrambe la parti processuali fondamentale per lo sviluppo della personalità di Gianfranco Stevanin: l'incidente del 1976. I periti di parte spiegano che Stevanin è affetto da una "complessa sindrome psicopatologica su base organica di origine post-traumatica, ben dimostrabile sul piano strutturale e funzionale (esami TAC e RMN), che interessa entrambi i lobi frontali, il lobo temporale destro ed alcune strutture profonde del sistema limbico, sede degli istinti, dell'aggressività e della memoria"; (41) ciò ha determinato una grave forma di epilessia temporale post-traumatica.

Stevanin viene più volte ricoverato prima all'ospedale di Legnano e successivamente trasferito nel reparto neurochirurgico dell'Ospedale Civile Maggiore di Verona, dove i medici intervengono chirurgicamente per ricostruire il margine orbitario destro. Dopo due anni dall'incidente viene nuovamente ricoverato a causa della comparsa di "crisi di perdita di coscienza generalizzante". Nonostante la terapia, le crisi epilettiche continuarono a comparire, tanto che nel 1980 si assiste ad un nuovo ricovero per "crisi comiziali". I periti di parte sostengono che il lobo frontale "sovrintende a quei fenomeni di controllo, critica ed inibizione che consentono valutazioni e scelte adeguate, soprattutto quando si tratta di scelte comportamentali o, comunque, correlate a problematiche eticamente rilevanti". (42) Le alterazioni del sistema limbico, poi, spiegano la presenza di "carenza critica e di disturbi della memoria di fissazione".

Pinto e Traverso sono concordi nel sostenere che le suddette anomalie cerebrali sono state responsabili di gravi e significativi cambiamenti comportamentali, riconosciuti da tutti, ed hanno avuto un "ruolo centrale nella strutturazione di alterazioni della personalità di tipo patologico"; queste alterazioni riguardano sia la personalità generale del periziando, ma soprattutto la sfera della psicosessualità, determinando vere e proprie parafilie, che, abbiamo visto, sono disturbi psichiatrici codificati nel Manuale Diagnostico e Statistico (D.M.S. IV) dell'American Psychiatric Association. Tutte queste alterazioni patologiche a carico del sistema nervoso centrale, secondo i consulenti tecnici della difesa, hanno pesantemente condizionato non solo la commissione dei reati per i quali si procede, ma anche tutti i reati precedentemente commessi. Naturalmente, i periti hanno accostato a queste anomalie altri elementi significativi, quali esperienze nell'infanzia e nell'adolescenza, le alterate relazioni parentali, il contesto socioculturale, l'utilizzazione di materiale pornografico, l'intervento di fattori situazionali.

Sul piano affettivo-volitivo, Stevanin appare, a loro dire, appiattito, instabile, labile, "portato a reagire in modo acritico agli stimoli interni ed esterni. Incapace di scelte ponderate, in quanto facile preda di spinte incontrollate e di episodici momenti di discontrollo, nei quali, verosimilmente, la patologia complessa di cui soffre si rinforza, annullandosi le difese a livello superiore e comparendo strutture psicotiche, che emergono nei momenti in cui alle fantasie perverse si sostituisce la perversione agita; a questo punto la sostituzione di un'intenzionalità con un'altra diviene estremamente difficile, permettendo la concretizzazione dell'evento delittuoso". (43) I consulenti tecnici della difesa precisano, inoltre, che nell'interpretazione dei test non si sono limitati ad un'analisi formale dei protocolli, come, invece, sostengono abbiano fatto i periti d'ufficio; dichiarano di aver considerato "il discorso del paziente nella sua interezza" (44), riscontrando una patologia neuropsichiatrica grave, che costituisce infermità ai sensi di legge; ritengono, quindi, che Stevanin abbia commesso i reati "in uno stato di mente tale da escludere sia la sua capacità di intendere, vale a dire la capacità di comprendere il vero significato delle sue azioni e le loro conseguenze sul piano giuridico, sia la sua capacità di volere, cioè la libera scelta di autodeterminarsi secondo i motivi". (45) Data la gravità della situazione patologica sofferta dal periziando, ritengono che egli debba considerarsi, dal punto di vista clinico-criminologico, persona socialmente pericolosa.


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