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Serial Killer Gianfranco Stevanin Perizia Psichiatrica

Nome Completo: Gianfranco Stevanin
Soprannome: Il mostro di Terrazzo
Nato il: 2 ottobre 1960 - Morto il: in vita
Vittime Accertate identificate: 4 - Non id: 2
Vittime di violenze (sopravvissute): 2

Gianfranco Stevanin
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MODUS OPERANDI: Educato, gentile, sadico e amante del sesso estremo, finiva, al suo dire, per incappare in incidenti di percorso...le sue vittime morivano durante l’amplesso, strozzate o soffocate da lacci o sacchetti di plastica, poi fatte a pezzi disseminate qua e là oppure interrate....

Perizia al Sign. Gianfranco Stevanin

Pag. 4 - I due aspetti ovviamente arretrano, se vogliamo scendere alle dimensioni più profonde, alla sua vita antica, che sembra svolgersi come storia di un bambino molto strettamente tenuto, ma poco compreso, considerato e poco voluto. Siamo di fronte ad una struttura familiare inconsistente in cui non esiste un centro di gravità: la madre, isolata, distante, con in mente elementi di accudimento esterno, con una rilevante chiusura e ottusità rispetto alle esigenze emozionali. Il padre, buon lavoratore e senza linee generali di impostazione verso il figlio. Il vissuto del bambino può essere considerato del tutto simile a quello di un orfano grandioso, abituato al possesso di tutto ciò che lo circonda e che lascia al degrado. Possiamo ben pensare che questo abbia prodotto due tipi di risposta, da un lato un profondo risentimento per l'abbandono antico implicito nella situazione, con un grande bisogno di risarcimento narcisistico per la grande frustrazione subita, revanche che si esprime nella direzione presa dalla pulsione libidico-emotiva di controllo e dominio totale sulla figura femminile, origine di ogni abbandono: il controllo sadico perinde ac cadaver ha la funzione di realizzare il piacere a lui negato nelle esigenze infantili, con la fantasia che a questa revanche edipica si associ la garanzia di non poter essere abbandonato per il totale controllo dell'oggetto amato-odiato, in una ambivalenza narcisistica onnipotente.

Infatti, è necessario porre in rilievo l'altro aspetto fondamentale di questa infanzia abbandonata nell'abbondanza, per usare questo ossimoro: questo ha determinato la caduta e la dissoluzione del superIo edipico maturo, determinando un senso di onnipotenza narcisistica, di poter fare ogni cosa quasi impunemente, e lasciando solo residui di un superIo arcaico, spietato, abbandonatore e che licita ogni sofferenza inflitta agli altri per il proprio piacere, spietato e feroce. La costruzione, a posteriori, di una serie di amnesie psicogene, come quelle che il sig. Stevanin presenta attualmente, può essere del tutto ovvia, non necessariamente nell'ambito della simulazione, ma anche in quello appunto narcisistico onnipotente, del meccanismo di negazione contro ciò che non può spiegare in modo accettabile e che in qualche modo scalfirebbe l'integrità della sua persona, e sottolineerebbe la palmare evidenza del fallimento del suo progetto.

In questo senso le amnesie psicogene non sono funzionali e integrate col quadro clinico che ha condotto ai comportamenti sadico-distruttivi, ma sono elementi attuali, a posteriori, dell'hic et nunc, comparsi ora per far fronte alla gravità dello scacco. Questi atteggiamenti distruttivi possono essere considerati, nel profondo, alla luce della tragedia Orestea, con la distruzione goduta della donna per vendetta del tradimento profondo e allo stesso punto, col matricidio simbolico, con la negazione della espulsione materna. Premesso che la personalità del serial killer non esiste sul piano nosologico, ma è una invenzione letteraria e cinematografica, non v'è dubbio che la diagnosi centrale è qui quella di Parafilia, nella specificazione del Sadismo Sessuale. La prima domanda che ci si pone è se con questo inquadramento nosologico ci si trovi di fronte ad un comportamento non evitabile, che comporta caduta della valutazione cognitiva della realtà, della possibilità di valutare le opportunità sociali, le regole, e di comporle con le proprie esigenze pulsionali.

Non v'è dubbio che questi comportamenti siano intrinseci ad un certo tipo di funzionamento mentale, ed è quindi molto comprensibile e ci induce ad una valutazione della realtà parafilica come una tragica esigenza difficile da combattere, soprattutto se si tenga conto del retroterra dinamico che ha indotto, attraverso un iter di sviluppo doloroso, a queste istanze così interamente anomale. Vero è che la scarsa capacità di simbolizzazione, la nulla capacità di sublimazione, la povera possibilità di operazioni fantastiche, non ha permesso al sig. Stevanin vie d'uscita diverse per la realizzazione compromissoria ed accettabile del suo sadismo. Tuttavia, il controllo degli impulsi è nelle parafilie possibile, in generale ed in questo caso, l'esecuzione del rituale parafilico non è uno scoppio improvviso, comporta una messa in opera precisa ed una complessa organizzazione: la coscienza dell'Io è sempre attiva, ed una serie di eventi sfavorevoli o la presenza di altri inibirebbe questa sequenza comportamentale. E' il superIo che è indebolito, ed è l'istanza sovracosciente di controllo che va esercitata che viene meno, istanza che può essere sempre richiamata.

Il caso di Gilles de Retz è l'estremo di questo comportamento, forzoso ma pur sempre dedicato al piacere con la messa in secondo piano di elementi importantissimi per la vita sociale. Anche la struttura narcisistica della personalità, espressa da un certo livello di grandiosità incoerente, è presente, come spesso accade in queste forme parafiliche. Una certa stolidità di fondo, una ottusità isolata, una carenza di iniziativa, una certa perplessità, ed una certa inesattezza nel valutare la realtà, venne riferita più che altro al withdrawal, al ritiro simil-autistico. Tutto ciò non incide nella capacità di critica e di giudizio in generale. L'amnesia psicogena e un fatto di secondo livello sia temporalmente che gerarchicamente, nel funzionamento psichico, e non è quindi da tenere in considerazione.

La scissione della coscienza dell'Io va riferita alla categoria nosologica dei Disturbi Dissociativi che, con modalità acute o di lenta insorgenza, vengono attribuite alla sconnessione, appunto allo Spaltung, di funzioni che procedono di solito ampiamente integrate, come coscienza, memoria, identità o percezione dell'ambiente. In questa categoria, tra le voci nosologiche possibili, si situa la vecchia Kurtschlussreaktion, o reazione a corto circuito della psicopatologia classica, che veniva una volta con qualche ragione usata per spiegare tipi di comportamento a coscienza scissa, con perdita della memoria dei fatti, comportamenti in cui la coscienza doveva considerarsi più precisamente crepuscolare, con restringimento cioè, usando la solita metafora ottica comune in questi casi, del campo di coscienza e permanenza di un fuoco anomalo, che non poteva tener più conto di considerazioni etiche e sociali.

Il quadro deve considerarsi legato ad una eccessiva recezione dello stimolo, da parte della personalità, ed a un convulso tentativo di allontanare lo stimolo inaccettabile saltando e shuntando l'elaborazione interna: insomma un corto circuito psichico. E' evidente che questo non si applica nel nostro caso, intanto perché un quadro di questo genere non è compatibile con comportamenti ripetitivi, elaborati, prolungati e complessi, e poi perché ha la caratteristica di comparire sotto notevole e improvviso stress, e non come espressione di articolati programmi. A rigore il corto circuito non rientrerebbe neppure nel Disturbo Dissociativo, in quanto le impostazioni moderne escludono questa diagnosi ogni volta che si presenta in condizioni di stress, rendendolo diagnosi incompatibile in presenza di Disturbo Acuto da Stress o di Disturbo Postraumatico da Stress.

Delle forme che fanno parte del quadro dissociativo, Amnesia Dissociativa, Fuga Dissociativa e Disturbo di Depersonalizzazione, l'unico praticabile nel nostro caso sarebbe dunque il Disturbo Dissociativo dell'Identità, caratterizzato dalla presenza di due o più distinte identità o stati di personalità che in modo ricorrente assumono il controllo del comportamento del soggetto, accompagnato da una incapacità di ricordare importanti notizie personali che è troppo estesa per essere spiegata con una normale tendenza a dimenticare. Il Disturbo Dissociativo dell'identità riflette il fallimento nella integrazione dei vari aspetti dell'identità, della memoria e della coscienza. Ognuno degli stati di personalità può essere vissuto come se avesse storia personale, immagine di sé e identità distinte, compreso un nome separato. Di solito vi è una identità primaria che porta il nome ufficiale del soggetto, e che risulta passiva, dipendente, tendente ai sentimenti di colpevolezza e alla depressione. Le identità alternative frequentemente hanno nomi diversi e caratteristiche che contrastano con l'identità primaria (per es. sono ostili, "dirigenziali", e auto-distruttive).

Identità particolari possono emergere in circostanze specifiche e possono differire nell'età e nel genere riferiti, nel vocabolario, nelle conoscenze generali o negli affetti predominanti. Il vissuto è che le identità alternative assumono il controllo in sequenza, una a scapito dell'altra, e possono negare la conoscenza reciproca, criticarsi l'una l'altra, o apparire in aperto conflitto. Talvolta, una o più identità più potenti regolano e assegnano il tempo alle altre. Le identità aggressive o ostili possono talora interrompere le attività delle altre o metterle in situazioni disagevoli. I soggetti con questo disturbo presentano frequentemente lacune mnesiche a proposito della loro storia personale, sia remota, che recente. L'amnesia è frequentemente asimmetrica. Le identità più passive tendono ad avere ricordi più poveri, mentre quelle più ostili, "dirigenziali", o "protettive" hanno ricordi più completi. Una identità che non ha funzioni di controllo può tuttavia avere accesso alla coscienza attraverso la produzione di allucinazioni uditive o visive (per es. una voce che dà istruzioni).

La dimostrazione dell'amnesia può essere raggiunta attraverso le indicazioni di altre persone che sono state testimoni di comportamenti che il soggetto rinnega, oppure attraverso le "scoperte" dell'individuo stesso (per es. il fatto di trovare in casa capi di abbigliamento che il soggetto non ricorda di avere comprato). Può esserci non solamente perdita di memoria per periodi di tempo ricorrenti, ma anche una perdita globale di memoria biografica per qualche esteso periodo della fanciullezza. Le transizioni da una identità all'altra sono spesso scatenate da fattori psico-sociali stressanti. Come si diceva, è probabile che l'aumento di diagnosi di questo tipo sia dovuta ad una eccessiva influenza dell'attenzione posta a questi casi, soprattutto negli Stati Uniti, dalla narrativa fiction e dal cinema, tanto che è probabile che la sindrome sia stata altamente sovra-diagnosticata in soggetti suggestionabili.

Nel nostro caso tuttavia, la eccessiva ripetitività, la grande precisione e strutturazione del comportamento, la funzionalità delle sequenze psicomotorie, l'integrazione di tutte le attività in una personalità ben unitaria, fanno escludere un quadro di questo genere. Rimane a suo sostegno solo l'amnesia specifica dei comportamenti, che è però a posteriori e dissimulatoria, o, se proprio la si vuole inserire in disturbi funzionali della memoria e della coscienza dell'Io, meglio riferibile a manifestazioni di conversione del tipo Ganseriano, anche se, come detto, non v'è qui cenno a turbe del tipo Vorbeireden, o di valutazione della realtà past the point, o di aspetti pseudo demenziali nel senso di Wernicke. Ci si può domandare se un quadro psicorganico può rappresentare la base di un disturbo dissociativo di questo genere: indubbiamente si pone il problema dei sintomi dissociativi dovuti a epilessia parziale complessa, per quanto i due disturbi possano concomitare. Gli episodi epilettici sono di solito brevi (da 30 secondi a 5 minuti), e non comportano le strutture di identità complesse e persistenti e i comportamenti che si ritrovano tipicamente nel Disturbo Dissociativo dell'Identità.

Rimane il problema se un quadro di tipo frontale, o di perdita di sostanza cerebrale, possano portare a condizioni di questo genere: di questo si parlerà in un apposito paragrafo, ma occorre ricordare che in genere questi quadri portano ad un atteggiamento atimormico o per contrario eccitato e con comportamento spesso sì trasgressivo, ma caotico, inconcludente, del tutto sconnesso con la realtà esterna, apogrammatico, non teso a finalità elaborate e complesse, con componenti a tipo black out mnesici sparsi. Non v'è dubbio dunque sull'esistenza della parafilia sadica, con tratti narcisistici, in sé non in grado di scemare la capacità di intendere e di volere. Il problema dunque è solo uno: data l'esistenza di una lesione neurologica, definita con precisione, è questa lesione tale da portare nella parafilia una componente di incapacità di controllare la pulsione parafilica, e di renderla totalmente travolgente, tale da aver annullato la possibilità di tenerla a freno e di considerare i fattori circostanti sociali e personali? In altre parole, ha ridotto la coscienza dell'Io, o ha determinato un restringimento di coscienza, tale che la spinta parafilica è rimasta il solo contenuto mentale esistente?

In definitiva ci si domanda se la lesione organica possa agire sull'elemento parafilico fino ad alterare la possibilità di valutare la situazione e darsi uno stop. In realtà la sindrome frontale, che è stata invocata in questo caso, non sembra propriamente presente. E' caratterizzata talora da forte disinibizione (lo dimostrano l'attività masturbatoria nei pazienti lobotomizzati), associata a ottusità e grossolana incapacità di pianificazione e progettazione, da atimormia e apatia, o da euforia stolida (moria, calembours, Witzelsacht), ma sempre immersa in una incapacità di valutazione più globale e decadenziale. In questo caso la sequenza programmatoria, le capacità cognitive, la tensione emotiva sono sempre state presenti ed estremamente attive. Né sembra possibile parlare di sindrome limbica o ippocampale, che in ogni caso determina comportamenti disinibiti ma scoordinati e a valanga.

Non appare possibile attribuire ad una lesione psicorganica, che qui sarebbe asintomatica, lo scatenamento incontrollabile di una parafilia sadica svolta invece con complessi e strutturati rituali, con sequenze organizzate e ordinate, e con attitudini ripetitive. In sintesi non vi è dubbio che esiste una Parafilia, e precisamente un Sadismo Sessuale, associata a personalità dai tratti narcisistici, del tutto indipendente dalla lesione cerebrale postraumatica. Esiste una lesione cerebrale ma non vi è nessun motivo clinico di affermare che esista e sia esistita una condizione psicorganica tale da alterare il controllo delle pulsioni o la coscienza dell'Io, rendendo impossibile il contenimento delle istanze parafiliche. Nessun esame strumentale può dimostrarlo, e una ingenuità rappresenta il tentativo di "dimostrare con tests", o con enunciazioni teoriche neuroscientifiche sul funzionamento di controllo del sistema nervoso centrale che non hanno riscontro né in quadri clinici riconosciuti né nel caso clinico specifico del sig. Stevanin.

Il concetto diagnostico di discontrollo da sindrome frontale deriva qui con modalità self-assertive a partire dai fatti di cui questo processo discute: non tiene conto che il sadismo sessuale, da solo, senza interventi di turbe psicorganiche, può condurre agli stessi fatti, in maniera coordinata e strutturata, mentre i comportamenti psicorganici sono imprecisi, scoordinati e caotici. Occorre guardarsi dall'applicare un modello scientifico atto a spiegare comportamenti semplici per render ragione di comportamenti complessi ad alto livello di organizzazione. Affermare che le connessioni dell'area mesiale e fronto basale (che la risonanza magnetica danno come danneggiate) da un lato con la neocorteccia e dall'altro con l'amigdala o con l'ippocampo ne fanno un'interfaccia fra le aree cerebrali principalmente dedicate alla vita di relazione e quelle deputate alla sfera emotivo istintiva, sicchè una loro lesione può compromettere quei meccanismi inibitori che normalmente scattano alla visione del dolore altrui, è un pregevole modello teorico di mappatura cerebrale e un esempio classico di semplicismo e riduzionismo meccanicistico, che ha poco riscontro nella realtà clinica, tanto meno nella realtà clinica di un comportamento così complesso e così integrato, e rimane come modello teorico, anzi come experience distant theory, teoria generale, su cui basare una incapacità di intendere e volere sarebbe quanto meno imprudente.

Tanto più che questo preciso meccanismo si metterebbe in funzione nello Stevanin solo quando i meccanismi rituali e cerimoniali del sadismo si attivano, e non in altre condizioni di vita. Non per esempio quando mette in moto la complessa e accurata ricerca e programmazione dell'elaborata serie di comportamenti, ma solo nel momento in cui uccide la vittima, che invece non è che un momento ovvio e conseguente di tutto l'iter. La realtà di questa contraddizione ha condotto qualche precedente perito ad una curiosa separazione tra delitti con incapacità e susseguenti delitti con capacità, che si alternano l'un l'altro con una singolare bipolarità della capacità di intendere e di volere. Ogni volta, il sig. Stevanin inizierebbe imputabile e finirebbe non imputabile. Ne deriva una immagine di una persona costruita come un vestito di Arlecchino, fatto di diversi pezzi, con un giudizio critico diverso in situazioni fondamentalmente con lo stesso denominatore comune. Ciò sulla base di una forzosa neurologia clinica che non ha riscontro nel paziente né sufficiente riscontro nella clinica, e che dà per scontato cose nella clinica non esistenti.

Nella realtà, il sig. Stevanin è una persona tragicamente, sinistramente unitaria. Egli porta, con una pianificazione precisa, attraverso rituali e cerimoniali ripetitivi, la sua istanza, la pressione delle sue pulsioni, insiste nella sua Parafilia sadica, verso la realizzazione del piacere, attraverso la sofferenza dell'oggetto amato, per portarlo oltre, sempre con produzione di piacere, alla distruzione manipolatoria dell'oggetto ormai reso totalmente inerte. Non possiamo che comprendere, il che significa renderci conto del perché e riconoscere in questa ricerca sinistra di realizzare le pulsioni una tragedia, che abbiamo definita Orestea, e che risale alle sofferenze del suo iter di sviluppo. Comprendiamo che il suo operare è legato strettamente al suo funzionamento mentale. Ma dobbiamo dire che in nessun momento gli è mancata, per motivi psichiatrici o neurologici, la possibilità di percepire e valutare le regole sociali, le esigenze degli altri, e quindi la sua indubbia psicopatologia non gli ha mai impedito di scegliere tra un comportamento o l'altro, o di trattenersi del realizzare una pulsione anomala.

Se non si può escludere che la lesione organica abbia provocato un abbassamento del rendimento emotivo e relazionale globale con la realtà esterna, è però improbabile che abbia provocato il withdrawal e la prevalenza di un tipo di relazione, improntato più che a difficoltà operative mentali, a chiusura e a modo di rapportarsi introverso o simil-autistico, con la prevalenza del binomio impulsi e rappresentazioni mentali da un lato, e acting comportamentale dall'altro. Tanto meno si possono individuare, all'interno di queste situazioni, momenti di scatenamento di una condizione mentale caratterizzata da perdita di controllo dell'Io, fuori di una precisa progettazione che comprendeva in realtà anche l'atto omicida, e perdita del sentimento di proprietà dei propri atti di conoscenza, isolata e specifica nel senso di legata a particolari momenti di elicitazione libidica o di stati libidico-emotivi particolari.

Tutto ciò che è accaduto è costituito non da singoli fatti isolati e autonomi, ma da un vero e proprio stile di vita, il che è caratteristica della struttura sadica, anche di forme più lievi di questa, che in realtà imposta e organizza tutta la vita in funzione della progettazione, della pianificazione e dell'organizzazione della realizzazione e della messa in scena delle esigenze sessuali anomale, come se tutta la vita fosse diretta a realizzare sceneggiature scritte nella mente, ed a porle in atto. Il sig. Stevanin, in realtà, da anni non pensava che a questo, a come mettere nella realtà i suoi desideri.


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