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Serial Killer - Chi Sono

“Su questa terra, o su altri mondi , l’uomo ha da secoli una fedele  compagna, La Paura”.
(Edgar Allan Poe - 1809-1849)

 

Sviluppo della prospettiva comportamentista in campo criminale

Pag. 3 | L'assunto di partenza degli investigatori è:

 Il momento di rottura arriva nel 1978, quando a Douglas e Ressler, eternamente in viaggio, si presenta finalmente l'occasione che da tempo aspettavano. Era un' idea che covavano da molto tempo quella di parlare con quei criminali di cui tanto discutevano, per chiedergli il loro punto di vista, indagare le sensazioni che li spingevano a commettere certi atti invece di altri e, ultimo ma certo non meno importante, vedere in che modo giustificavano le loro azioni, a sè stessi ed agli altri. ll primo criminale che ebbero l'autorizzazione di incontrare fu Ed Kemper.

Kemper era un tipo decisamente fuori dalla norma. Quasi due metri di altezza, uno sguardo penetrante dietro gli spessi occhiali. A quattordici anni aveva ucciso a fucilate i suoi nonni. Mandato dal tribunale che si occupò allora del caso in un ospedale psichiatrico, ci rimase per cinque anni. Quando fu dimesso, sua madre lo prese in casa con lei. Uccise sei fra studentesse universitarie e giovani vagabonde per poi brutalmente massacrare anche sua madre ed un'amica di famiglia. Paradossalmente Kemper fu il primo assassino seriale che i due agenti incontrarono ma quello che, in termini di metodologia, permise loro di avere più informazioni e più elementi utili alla formulazione del loro approccio.

Kemper era brillante, aveva un quoziente intellettivo molto sopra la media, quasi da genio; era una persona disponibile, affabile, di piacevole conversazione. Allo stesso momento era minaccioso, instabile e si percepivano delle "crepe della maschera" come disse proprio Ressler a proposito di lui. Aveva avuto molto tempo per riflettere sulla sua vita in carcere, e con gli agenti aveva un modo di parlare freddo, analitico, distaccato. Gli unici segni di cedimento che lasciò trasparire apparvero allorchè raccontava nei dettagli il trattamento che aveva riservato alla madre. La persona che maggiormente poteva essere accusata come fonte generatrice delle tensioni violente che Kemper espresse poi, non appena riuscì a trovare il coraggio, anche su di lei.

In Edward Kemper si riscontravano caratteristiche che soltanto più tardi vennero considerate "classiche" della figura del serial killer:

  1. Kemper era stato straordinariamente furbo nel portare a compimento i suoi propositi omicidi. Aveva "provato" la parte per molto tempo, aveva analizzato le sue intenzioni, progettato i suoi comportamenti, perfezionato sempre più le sue tecniche. (si era spinto così lontano da fare addirittura delle "prove generali", in cui usciva, caricava un'autostoppista, calcolava i tempi, etc..).
  2. Era affascinato dalle figure di polizia, seguiva le indagini sul suo caso mescolandosi ai poliziotti che discutevano fra di loro nei bar.
  3. La sua escalation di violenza era iniziata da molto piccolo, quando aveva ucciso selvaggiamente, torturandoli, tutti i gatti che era riuscito a catturare nel vicinato.
  4. I suoi delitti erano evidentemente sorretti da ricerca di autostima e di vendetta verso la società. "Queste ragazze non usciranno mai con te, Ed", si ripeteva. Uccidendole pensava che sarebbero state sue per sempre, esercitava su di loro un potere molto più grande di quanto riusciva perfino ad immaginare, essendo completamente privo di esperienze di questo genere.

I due agenti si resero conto che il materiale che avevano in mano scottava per molte ragioni. Era chiaro che un personaggio come Kemper, intelligente, brillante, sicuro di sè, nascondeva trappole di ogni tipo. Douglas stesso non ha mai nascosto di essersi molto divertito nel tempo che ha passato insieme a lui, pur essendo ben cosciente di quello che Ed aveva fatto. Gli agenti si resero conto, anche grazie alle seguenti, numerose interviste, che il materiale da loro raccolto doveva subire scremature e selezioni di vario tipo per essere considerato scientificamente valido. Era chiaro infatti che il contenuto delle risposte degli intervistati fosse materiale emotivo e nascondesse motivazioni, superficiali e profonde, che avrebbero potuto fuorviare il compito classificatorio degli agenti.

Un killer poteva parlare con genuina voglia di condividere con le forze di polizia la sua esperienza per permettere, attraverso lo studio, di capire meglio come si possono evitare o perlomeno circoscrivere i problemi delle persone come lui e l' impatto che queste persone hanno sulla società. Oppure altri potrebbero aver avuto motivazioni del tutto diverse. Per esempio parlare dei propri crimini poteva essere un modo per riviverli attraverso la fantasia e cercare ancora una volta di dimostrare a se stesso e agli agenti quanto era stato "bravo" in quello che aveva fatto; un'altra occasione per Manipolare, Dominare, Controllare.
Gli stessi criminali avrebbero potuto cercare di approfittarsi delle sessioni di colloquio per ottenere sconti sulla pena, oppure avrebbero mentito semplicemente per il gusto di imbrogliare e depistare ancora una volta le forze di polizia e la società in generale. Inoltre si sapeva già che tre dei tratti della sintomatologia dello psicopatico erano: continuo negare dei fatti, continuo mentire, continui tentativi di manipolazione. Ma gli agenti che conducevano le interviste, prima solamente due, poi sempre di più con le aggiunte illustri di Roy Hazelwood e Robert Keppel, fra i tanti, svilupparono una sensibilità e consequenzialmente un metodo che permise loro di utilizzare i dati raccolti dalle interviste completamente a proprio favore. Dal settembre 1980 gli agenti coinvolti nelle interviste cominciarono a diffondere i risultati dei loro studi, le loro intenzioni, la metodologia da seguire e anche un invito ufficiale a fare quello che in gergo avevano chiamato "prison cruising", una specie di "passeggiate in prigione".

Gli agenti avevano preso infatti l'abitudine di presentarsi nelle carceri senza preavviso, e si era col tempo rivelato il metodo migliore per una serie di ragioni.
I direttori carcerari avevano l'abitudine di non porre i bastoni fra le ruote ad un agente federale che voleva fare due parole con un detenuto mentre una richiesta ufficiale di colloquio avrebbe invece destato inutili sospetti. In più i criminali stessi non avevano mai occasione di provare una parte o di avere la sensazione di essere narcisisticamente al centro di una ricerca ufficiale. Erano così spesso più sinceri e più diretti.

Sul "FBI Law enforcement bulletin" del settembre 1980 a proposito degli obiettivi di queste interviste si legge:

Cosa spinge un individuo a diventare un criminale sessuale e quali sono i primi segnali d'allarme?

Che cosa incoraggia o inibisce l'attuazione concreta del crimine?

Quali sono le implicazioni relative alla pericolosità del soggetto, alla prognosi e alle modalità di trattamento?

Durante quel periodo vennero svolte moltissime interviste.
Gli agenti parlarono con Arthur Bremmer, Sarah Jane Moore e Lynette Fromme (che avevano tentato di uccidere il presidente Ford) ed il loro guru, il famoso Charles Manson. Erano passati dieci anni dagli omicidi Tate-La Bianca, la famosa strage nella villa di Roman Polansky in cui venne uccisa, insieme ad altre persone, sua moglie (che aspettava un figlio), ma Manson era comunque il detenuto più famoso degli Stati Uniti nonché il criminale più enigmatico che si conoscesse.

Douglas e Ressler incontrarono anche lui, in una saletta del carcere di San Quentin.
Nel frattempo il numero della richiesta di profili era passato da cinquanta del 1979 a centodieci del 1981. Il lavoro iniziava a dare i suoi frutti. .


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