T-Shirts Serial Killer

  << Home Serial killer italiani e stranieri




     Fenomenologia

  Definizione Serial Killer
  Prospettiva comportamentista
  Dinamiche comportamentali
  Patologie Serial Killer
  Modelli Motivazionali
  L’infanzia dei Serial Killer
  Le Fantasie violente

     Biografie Serial Killer

  Ted Bundy
  Jeffrey Dahmer
  Andrey Cikatilo
  Richard Ramirez
  Charles Manson
  Aileen Wuornors
  Albert Fish
  Ed Kemper
  David Berkowitz
  Peter Kurten
  Arthur Shawcross
  Gianfranco Stevanin
  Donato Bilancia
  Marco Bergamo

     Mix & Shop

  Novità Editoriali
  Serial Killer Libri
  Serial Killer eBook
  Serial Killer DVD
  Serial Killer T-shirts

     Altre Risorse

  Articoli di Criminologia
  Romanzi Noir
  Serial Killer e Satanismo

 

 

















zstore0402

Serial Killer Biografia Gianfranco Stevanin

Nome Completo: Gianfranco Stevanin
Soprannome: Il mostro di Terrazzo
Nato il: 2 ottobre 1960 - Morto il: in vita
Vittime Accertate identificate: 4 - Non id: 2
Vittime di violenze (sopravvissute): 2

Gianfranco Stevanin
Video

MODUS OPERANDI: Educato, gentile, sadico e amante del sesso estremo, finiva, al suo dire, per incappare in incidenti di percorso...le sue vittime morivano durante l’amplesso, strozzate o soffocate da lacci o sacchetti di plastica, poi fatte a pezzi disseminate qua e là oppure interrate....

Biografia Gianfranco Stevanin:
il "mostro di Terrazzo"

1.5. Il processo davanti la Corte d'Assise

             Bio G. Stevanin inizio Indice
  Perizia psichiatrica G. Stevanin
  Intervista Gianfranco stevanin
  Arresto, indagini, rinvio a giudizio
  Storia della vita di G. Stevanin
  Il materiale sequestrato
  Esame delle perizie
  Le perizie d'ufficio
  Le perizie dell'accusa
  Le perizie della difesa
  Processo Corte d'Assise
  Sul banco dei testimoni
  Richiesta della pena
  Sentenza Corte d'Assise
  Processo Corte d'Appello

"È processabile. Gianfranco Stevanin è sano di mente". Sulla base delle perizie psichiatriche, il 5 novembre del 1996 viene rinviato a giudizio. Un anno dopo, lunedì 6 ottobre 1997, in Corte d'Assise si apre il dibattimento. Diciannove udienze, centoquattordici giorni in aula, novanta testimoni che sfilano davanti ad una giuria popolare quasi interamente composta da donne: quattro giovani ragazze, più o meno della stessa età delle vittime e due uomini. Anche il pubblico ministero, come detto, è una donna: Maria Grazia Omboni ha esposto i fatti alla Corte, presieduta da Mario Sannite e con Mario Resta come giudice a latere.

Soltanto per la lettura dei capi d'imputazione, il cancelliere ha impiegato diciassette minuti: una serie di articoli del codice penale per crimini atroci che neppure l'asettica formulazione giuridica riesce ad attenuare. Nell'aula parole sconvolgenti richiamano una carrellata di immagini da brivido: "sesso estremo", "mutilazioni di parti intime", "deturpamenti di cadavere", "sadismo", "brutalità". Il sostituto procuratore punta il dito su "la criminosa attività sessuale, che era la principale occupazione di Stevanin". Il magistrato inizia con un racconto che va indietro nel tempo, quando una sera del 1989 l'imputato fu fermato dalle forze dell'ordine; in macchina aveva un campionario di attrezzi erotici, cacciaviti, un coltello e una pistola scacciacani. Maria Grazia Omboni ripercorre, poi, i tre anni di attività investigativa alla ricerca di persone scomparse e dei loro corpi sepolti: l'austriaca Roswita Adlassnig (mai trovata), Claudia Pulejo, Blazenka Smojo, Biljana Pavlovic.

E ancora: il mistero del tronco non identificato (forse quello di una prostituta di origine tailandese) e il giallo dell'omicidio in fotografia, l'altra donna senza nome. Riassume le caratteristiche dell'inchiesta sviluppata soprattutto sulle sconvolgenti dichiarazioni di Stevanin durante gli interrogatori in carcere. Confessioni, secondo l'accusa, rilasciate dall'agricoltore nella speranza di barattarle con la possibilità di esser riconosciuto incapace di intendere e volere. Alla prima udienza l'aula è strapiena. Il "mostro di Terrazzo" non tradisce nemmeno un attimo di turbamento, è un blocco di ghiaccio, non batte ciglio davanti ai parenti delle vittime che un implacabile regista sembra aver voluto collocare a pochi metri dalla gabbia. L'imputato ottiene subito di stare fuori da questa e siede tra i suoi avvocati. Attento, impassibile, non perde una parola, prende appunti come uno studente diligente. Ha anche cambiato fisionomia: si è tagliato la barba e rasato completamente i capelli, forse un coupé de theatre orchestrato dai suoi difensori, affinché giudici e giurati possano vedere la cicatrice semicircolare che il loro assistito porta sulla tempia destra, conseguenza del noto incidente del 1976. Agli psichiatri viene data la parola già alla seconda udienza, precedenza chiesta dal P.M. ma osteggiata dai difensori.

Il professor Ugo Fornari dipinge dell'imputato un ritratto a tinte fosche: "è un serial killer che mi ha affascinato; dopo i colloqui con lui ero stanchissimo, perché sgusciava via come un'anguilla. Giocava come il gatto fa con il topo, ma in questo gioco il topolino ero io". Per il perito d'ufficio, le confessioni non sarebbero altro che "le rivelazioni di ciò che lui stesso non poteva più nascondere". (46) Stevanin, insomma, è uno stratega abilissimo, intelligente e dotato di un certo carisma. "Assaggiava le reazioni facendo ipotesi; a seconda delle nostre reazioni faceva marcia indietro o andava avanti". (47) L'esperto in questione respinge con forza l'ipotesi di trovarsi davanti un malato oppure ad un soggetto affetto da sdoppiamento della personalità, afferma, infatti, che i tanti "non ricordo" pronunciati da Stevanin contrastano con altri minimi, a volte inutili, particolari raccontati dall'agricoltore. Il suo comportamento sarebbe frutto di una "ipoaffettività e conseguenza di una disfunzione sessuale". Ma sapeva quello che faceva fino all'ultimo momento.

Secondo Fornari è un bambino mai cresciuto, a causa della madre che non l'ha mai lasciato crescere, lo ha sempre giustificato, impedendogli così di provare rimorso o pentimento per le uccisioni delle donne. Tant'è che "le donne che si ribellavano erano quelle che si salvavano"; insomma, Stevanin al comando "no" ubbidisce; riemerge in lui il bambino che teme la madre, che l'ascolta quando lei gli impone di fare qualcosa.Il perito della difesa, Traverso, sostiene, invece, che Gianfranco Stevanin è una persona malata, che la parte destra del suo cervello è stata danneggiata a seguito dell'incidente. "C'è una carenza di materia grigia nel cervello dell'agricoltore. Sono l'esito di lesioni che hanno colpito in profondità la sfera degli istinti e, quindi, dell'aggressività, della sessualità, della memoria". (48) Sostiene, inoltre, che Stevanin, a causa di questo, non ha avuto una vita normale, ha abbandonato gli studi ed il suo comportamento è stato radicalmente stravolto.

Il processo procede a tappe serrate; passo dopo passo, con la minuzia e la pignoleria che ha contraddistinto tutta l'indagine, il pubblico ministero Omboni ha cercato di ricostruire le prove e gli indizi a carico dell'imputato. Vengono ascoltate le madri delle vittime, che raccontano storie che si assomigliano. Poi tocca ad altri testimoni, ancora donne, alcune sono amiche delle vittime, altre sono le sue ex "fidanzate"; il loro contributo è importante, in quanto si apprendono le abitudini sessuali del presunto serial killer: la disponibilità ad accogliere le perversioni sessuali (fotografarle nude, rasarle il pube, fornirle indumenti intimi) è sempre proposta con delicatezza e educazione. Tutto questo, per la difesa, significa che Stevanin non praticava abitualmente sesso violento spinto fino al sadismo; per l'accusa e le parti civili, invece, dimostra chiaramente che l'imputato, non solo è capace di intendere, ma anche e soprattutto di volere, perciò in grado di assumere atteggiamenti diversi con le proprie partner, delle quali sono alcune rimangono vittime dei suoi giochi erotici.

Testimonia anche la Musger, a porte chiuse, la donna che lo ha fatto incastrare nel novembre 1996, dando l'avvio all'indagine su questa terribile storia. Poi arriva anche il momento del "primo amore", Maria Amelia, il rapporto più importante in assoluto, come aveva detto Stevanin agli psichiatri. C'è voluta un'ordinanza della Corte per portarla davanti alla giuria; si è sposata, ha dei figli e un'altra vita; le viene concesso di essere sentita a porte chiuse. Stevanin si è presentato in aula con il vestito delle feste, un gessato grigio scuro, mocassini neri, calze intonate alla camicia azzurra; manca solo la cravatta, ma quella è vietata dai regolamenti carcerari; lei, per oltre mezz'ora, racconta la storia di quell'amore che, finendo male, ha forse scatenato la furia omicida di Gianfranco Stevanin, e lo descrive come un ragazzo mite, tranquillo, gentile, ma anche come un uomo che non riusciva a diventare adulto.

Al processo, arriva anche il momento della madre dell'imputato, Noemi Miola, e del cugino, Antonio De Togni, entrambi accusati di concorso in occultamento di cadavere; questi ultimi sono stati chiamati in causa da un compagno di detenzione di Stevanin, il quale gli avrebbe riferito che, la sera della morte della Pulejo, arrivò la madre che rassicuro l'agricoltore e chiamò il cugino per farsi aiutare ad avvolgere il corpo e a sotterrarlo nel luogo in cui fu poi ritrovato. Parla il cugino che riversa sulla madre di Gianfranco Stevanin un mare di sospetti: "non poteva non sapere" afferma; alcuni giorni prima di arare il campo, dove fu poi ritrovato il cadavere della Pavlovic, la donna si era raccomandata di non effettuare lavori in quell'area e che ci avrebbe pensato suo figlio, una volta uscito dal carcere; in seguito, quando fu ritrovato il "pacco", come lo chiama, corre ad avvertire la zia, la quale gli suggerisce di non avvertire i carabinieri, ma di parlare prima con gli avvocati. Non solo, il cugino parla anche di indumenti, scarpe e bigiotteria femminile che la donna gli diede da gettare via.

È Stevanin, però, a proteggere la madre, tanto da arrivare a proporre al presidente della Corte di ripetere l'esperimento dell'avvolgimento del cadavere, per dimostrare che riusciva a farlo da solo; era, forse, la disperata mossa del figlio per tenere la madre lontana da ogni responsabilità. È il momento delle domande degli avvocati. L'avvocato Guarienti, di fronte al perché Stevanin sia diventato un serial killer, afferma che egli è sicuramente sano di mente, come ha dimostrato il suo comportamento nel corso del processo, e che la causa dei delitti vada ricercata nel problematico rapporto con la madre, un personaggio che incombe sul processo anche se assente, "l'unica figura femminile con cui rapportarsi, con un sentimento di odio/amore"; e, citando le parole del cugino dell'imputato, afferma: "bisogna essere stati in quella famiglia; lì, apparire è sempre stato più importante che essere". (49)

L'avvocato Bastianello lo descrive come un "assatanato che uccide solo per soddisfare il suo piacere sessuale"; mentre l'avvocato Cazzola esordisce dicendo: "mancano in quest'aula le persone che dovrebbero gridare assassino a Stevanin, le vittime" (50), affermando, poi, di essere di fronte ad un serial killer che sembra essere uscito dai profili psicologici dell'F.B.I. Ai difensori dell'imputato spetta una missione disperata: dimostrare l'infermità mentale del loro assistito, data la lucidità con cui Stevanin ha risposto sotto i loro occhi ad ogni domanda. La tesi dell'avvocato Acebbi è ardita: in conseguenza del trauma cranico e delle lesioni al cervello riportate nell'incidente stradale del '76, Gianfranco Stevanin è totalmente incapace di intendere e volere quando uccide; non lo è, invece, quando occulta i cadaveri; insomma, "un malato che va curato e che, dopo avergli dato il minimo della pena per le incriminazioni minori, va recluso in un ospedale giudiziario".

(51) L'avvocato Roetta, asserisce che: "è difficile difenderlo", perché non aiuta loro nella difesa; ritiene che l'ergastolo non possa risolvere il problema, perché Stevanin è "una persona sola, un malato che non è mai stato curato. Adesso è il momento di farlo". (52) L'avvocato Acebbi, invece, punto il dito sulla madre che, forse, era consapevole della pericolosità del figlio, sicuramente era preoccupata "più della vergogna che della colpa"; la malattia del figlio era, per lei, una vergogna, quindi andava tenuta in casa con un "cordone sanitario". L'avvocato Dal Maso è l'uomo che più è stato vicino a Stevanin negli ultimi tre anni della sua vita; d'altra parte è stato lo stesso imputato, al momento di parlare dei suoi rapporti di amicizia a metterlo al primo posto; anche il legale ammette di sentire per lui sentimenti di affetto; chiede alla Corte l'assoluzione, perché il suo cliente è una persona incapace di intendere e di volere, in quanto "le sue azioni incongrue sono indice di una mente assolutamente disturbata".

Conclude affermando di aver capito, dopo tutto il tempo passato con Stevanin che "l'umana miseria è compatibile con la malattia e che, comunque, c'era un uomo che mi chiedeva aiuto". (53) Il legale conclude la replica, il presidente della Corte d'Assise, Mario Sannite, porge l'ultima domanda di rito all'imputato: "Cosa si aspetta dai giudici?". Lui si alza: "Sono probabilmente malato ...adesso però bisogna vedere quale idea ogni giurato si è fatto di me". (54)

1.5.1. Anche Stevanin sale sul banco dei testimoni

Cinque udienze, trenta ore di interrogatorio durante il quale l'imputato rimane sempre lucido, con quel sorriso indecifrabile, che qualcuno considera tonto ed altri furbissimo; le braccia conserte, gli occhi fissi su un punto lontano, la voce ferma, sempre con lo stesso tono monocorde. Parla per ore, ha una risposta logica per ogni contestazione che gli viene mossa; rimescola le carte, scambia gli anni, sovrappone vicende, donne, cadaveri; si sofferma minuziosamente su dettagli insignificanti e poi si rifugia dietro comodi "non ricordo" quando gli viene chiesto di precisare i momenti chiave del suo racconto.

Viene messo sotto torchio dal pubblico ministero, dagli avvocati di parte civile, persino dai suoi legali, passa momenti difficili, ma non dà mai quell'impressione di incapacità di intendere e volere. Quando il presidente Sannite gli chiede se avverte sensi di colpa, egli risponde: "ero qui che ci stavo pensando, non saprei rispondere. Non saprei fino a che punto io possa essermi sentito colpevole di queste situazioni"; (55) i congiuntivi ci sono, i sentimenti, ancora una volta, no. Nel momento in cui gli avvocati di parte civile contestano a Stevanin che, nel suo caso, compaiono tutti i tratti tipici di un serial killer, lui risponde di aver l'impressione che certe cose siano loro a volerle mettere assieme a tutti i costi.

Un momento importante, che mette l'imputato in difficoltà, arriva quando l'avvocato Cazzola gli pone dei problemi esistenziali, sui quali l'assassino seriale non ha preparato alcuna risposta; tergiversa, prende tempo, la sua imperturbabilità sembra, per la prima volta, vacillare. Ecco il contraddittorio tra il legale e l'imputato. (56)".


PAG. DOCUMENTI E BIOGRAFIA GIANFRANCO STEVANIN (sei qui)
PRIMA | SECONDA | SECONDA-A | TERZA | INTERVISTA GIANFRANCO STEVANIN | VIDEO

PAG. PERIZIA PSICHIATRICA GIANFRANCO STEVANIN
PRIMA | SECONDA | TERZA | QUARTA




  Definizione di Serial Killer
  Assassino seriale
  Prospettiva comportamentista
  Dinamiche comportamentali
  Patologie dei serial killer
  Modelli motivazionali
  L'infanzia del serial killer
  Le fantasie violente
  Cacciatori di Serial Killer
  Omicidi seriali in Italia
  Biografie di serial killer
  Serial Killer e Satanismo

         Shop | Libri Serial Killer     Serial Killer eBook     Serial Killer DVD     Serial Killer T-shirts

COPYRIGHT © 2007 | http://iserialkiller.altervista.org | ALL RIGHTS RESERVED