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Serial Killer Biografia Gianfranco Stevanin

Nome Completo: Gianfranco Stevanin
Soprannome: Il mostro di Terrazzo
Nato il: 2 ottobre 1960 - Morto il: in vita
Vittime Accertate identificate: 4 - Non id: 2
Vittime di violenze (sopravvissute): 2

Gianfranco Stevanin
Video

MODUS OPERANDI: Educato, gentile, sadico e amante del sesso estremo, finiva, al suo dire, per incappare in incidenti di percorso...le sue vittime morivano durante l’amplesso, strozzate o soffocate da lacci o sacchetti di plastica, poi fatte a pezzi disseminate qua e là oppure interrate....

Biografia Gianfranco Stevanin:
il "mostro di Terrazzo"

1.5.2. Il pubblico ministero chiede il massimo della pena

             Bio G. Stevanin inizio Indice
  Perizia psichiatrica G. Stevanin
  Intervista Gianfranco stevanin
  Arresto, indagini, rinvio a giudizio
  Storia della vita di G. Stevanin
  Il materiale sequestrato
  Esame delle perizie
  Le perizie d'ufficio
  Le perizie dell'accusa
  Le perizie della difesa
  Processo Corte d'Assise
  Sul banco dei testimoni
  Richiesta della pena
  Sentenza Corte d'Assise
  Processo Corte d'Appello

"Ergastolo". Alle 17.37 la parola cade inesorabile nel silenzio dell'aula. Scivola su uno Stevanin immobile al suo posto. Dopo cinque ore e quaranta minuti di requisitoria il pubblico ministero Maria Grazia Omboni ha pronunciato la sua richiesta, con tutte le aggravanti: nella ricostruzione dei sei omicidi e della violenza carnale non c'è posto per nessuna attenuante. Gli assassini, per il P.M., sono stati tutti volontari e legati da un unico filo conduttore, non ce n'è uno più grave degli altri, vista l'efferatezza con cui sono stati compiuti. Merita il massimo previsto dal codice penale: il carcere a vita più tre anni di isolamento diurno.

Stevanin si aspettava questa richiesta, per due anni i suoi legali lo avevano messo in guardia. Mentre il magistrato lo descrive come il più spietato degli assassini, l'imputato risponde ai cronisti mandando bigliettini: "dico chiaro e tondo che il P.M. sta esagerando alcuni fatti, minimizzandone altri e in generale sta stravolgendo il senso dei fatti in questione pur di dare l'immagine più negativa possibile e arrivare a un ovvio risultato. Sta tracciando un'immagine che mi rende adatto a una piena imputabilità. Scontato che, se questa viene accolta, non mi posso che aspettare il massimo della pena. (Ma ciò non significa che sia la mia vera immagine e, la conseguente, giusta pena)". (58)

Maria Grazia Omboni procede nella sua requisitoria, precisa, nitida, senza nulla concedere a effetti speciali e chiude il cerchio dei crimini. Parte dalle due violenze sessuali: quella commessa nei confronti di Maria Luisa Mezzari nel lontano 1989 e di Gabriele Musger il 16 gennaio 1994. Dentro il cerchio scorre la cronologia degli omicidi: Roswita Adlassnig (giovane prostituta, incantata dal fotografo in cerca di modelle. Muore ai primi di maggio del 1993; il suo corpo non viene mai trovato); Caludia Pulejo (tossicodipendente, soffocata il 15 gennaio e sepolta a ridosso di un muro del casolare); Blazenka Smoljo (prostituta soprannominata "Fatina", strangolata il 5 luglio 1994 e gettata nell'Adige); Bilijana Pavlovic (cameriera slava illusa dalle promesse di una lavoro e soffocata con un sacchetto di plastica il 18 settembre 1994); due sconosciute: una tagliata a pezzi, l'altra ritratta in una foto, orribilmente mutilata nelle parti intime.

Ricomposto il puzzle, il magistrato inquadra la personalità dell'imputato e le cause della sua criminosa attività sessuale. Azioni provocate da "risentimento per non essere apprezzato e considerato quanto lui avrebbe voluto essere e quanto lui riteneva di meritare. Ha avuto molte relazioni con donne ma, alla fine, tutte hanno deciso di interrompere i rapporti. Perché era bugiardo, inaffidabile, noioso, in ogni caso non suscitava più il loro interesse. Questi aspetti della personalità lo hanno portato a collezionare una serie di insuccessi. E gli insuccessi non fanno piacere a nessuno, però a Stevanin sono risultati particolarmente pesanti. Così, ha coltivato dentro di sé rancore e risentimento e ha maturato il desiderio di rivalersi e di riaffermare, anche con la violenza, se stesso sulle donne. Poi il suo bisogno di sentimento, rimasto insoddisfatto, ha lasciato spazio alla ricerca del sesso e la difficoltà di colmare anche questo lo ha condotto a pratiche sempre più spinte e letali per le compagne occasionali. Considerate come oggetti usati per il soddisfacimento dei propri bisogni e poi da gettare e distruggere nel momento in cui non servivano più, dimostrando il massimo disprezzo per il bene supremo della vita umana". (59) Gli avvocati dei parenti delle vittime calcano la mano, gli tolgono l'ultimo spiraglio: l'incapacità di intendere e di volere al momento dei fatti.

Spetta all'avvocato dal Maso giocare l'ultima carta. Afferma: "punirlo anziché curarlo sarà difficile, non si capisce chi si debba punire, se il ginecologo, il fotografo, il serial killer, il ragazzo perbene. Vi chiedo di assolverlo perché i fatti sono stati commessi da una persona incapace di intendere e di volere". (60)

Sono le 10.55. La Corte si ritira in camera di consiglio.

1.5.3. La sentenza della Corte d'Assise

È il 28 gennaio 1998, la Corte, il presidente Sannite, il giudice togato Resta ed i sei giudici popolari, entrano in camera di consiglio per uscire meno di sei ore dopo. Dopo 114 giorni e 19 udienze, il presidente della Corte scandisce: "responsabile di tutti i reati". Stevanin si irrigidisce appena. I muscoli del viso un po' contratti. "Ergastolo". L'espressione del serial killer si fa di pietra. Fermo, immobile ascolta le altre pene che gli piovono addosso.

Quindi, la giuria accoglie in pieno la tesi e le richieste dell'accusa; hanno riconosciuto Stevanin colpevole di tutti i reati ascrittigli in un capo di imputazione interminabile, tra cui sei omicidi volontari, mutilazioni e occultamento di cadavere, stupri e sequestro di persona. L'idea di tutti i giurati è stata quella di una persona pienamente consapevole di quello che ha fatto e non di un malato di mente, come avevano, invece cercato di dimostrare fino all'ultimo i suoi legali.

Da qui, la condanna all'ergastolo, tre anni di isolamento diurno appena sarà esecutiva; la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, il risarcimento alle parti civili per oltre un miliardo, 150 milioni per ogni genitore e alla figlia minore di Roswita Adlassnig, 50 milioni per ogni fratello, sorelle e figli delle vittime, più le spese degli avvocati di parte civile e quelle processuali. E, onde evitare che successive lungaggini nella definizione del giudizio consentano a Stevanin di uscire dal carcere per decorrenza dei termini, ecco anche l'ordinanza di custodia cautelare per gli ultimi quattro omicidi che gli sono stati contestati e per i quali, ora, è stato condannato.

Omicidi volontari, crudeli e agghiaccianti, tutti egualmente gravi, sottolinea la sentenza, frutto di una mente lucida, capace di distinguere il bene dal male e di scegliere se lasciar vivere o morire le donne conosciute. Gianfranco Stevanin è colpevole anche di una lontana violenza carnale del luglio 1989, ai danni di una prostituta veronese. Importante perché, vincolandola ai sei delitti con la continuazione, dimostra la correttezza della ricostruzione accusatoria del P.M. Omboni, per la quale, l'agricoltore avrebbe iniziato la propria carriera di assassino seriale in quella ormai remota estate del 1989 e l'ha continuata imperterrito e impunito fino all'arresto, quando, a seguito della violenza sessuale ai danni della Musger, viene scoperto. E quale era il suo ritmo? Nel maggio del'93, sparisce la Adlassnig, nel gennaio del '94, la Pulejo, poi un crescendo; luglio dello stesso anno, la Smoljo, settembre la Pavlovic, ottobre la "studentessa", novembre la Musger. Per tre di loro, almeno, adesso ci sarà la pace di un sepolcro, per le altre no; si può solo sperare che Stevanin restituisca, magari "ricordando un altro poco", anche a queste sue vittime la possibilità di una degna sepoltura.

Gianfranco Stevanin, trentasette anni, possidente terriero che nella sua vita aveva fatto più nulla che poco, aveva una sola passione: il sesso. Una passione che ha condotto alla morte sei giovani donne, anche se per lui, sembra essere stata colpa della morte il fatto che non siano sopravvissute. "Non mi hanno capito", è l'unico commento che fa in tempo a dire al suo legale Dal Maso, prima di venire bruscamente portato via dall'aula. Stevanin esce di scena, se ne va solo, come solo è stato per tutto il processo, senza il conforto di una presenza amica o di un parente. Anche questa è la sua tragedia.

1.6. Il processo davanti la Corte d'Assise d'Appello

Il 22 marzo 1999 prende il via, presso la Corte d'Assise d'Appello do Venezia, il processo di secondo grado per i delitti attribuibili al "mostro di Terrazzo". Gianfranco Stevanin non è comparso davanti ai giudici. Ha preferito rimanere nel carcere di Brescia, dov'è detenuto. Non ha quindi ascoltato, nell'aula semideserta, i particolari agghiaccianti dei delitti, così come li ha evocati il giudice a latere Antonio De Nicolo nella relazione preliminare del processo d'appello. È la scarsa presenza di mass media e di semplici curiosi a impressionare maggiormente nel secondo grado processuale; si ha una situazione completamente opposta a quella verificatasi in Corte d'Assise.

Il primo momento importante dell'udienza si ha quando il presidente della Corte, accogliendo la richiesta dei difensori di Stevanin, ha disposto una nuova perizia neurologica, che dovrà stabilire se le lesioni al cervello subite nell'incidente stradale del 1976, hanno determinato una diminuzione o addirittura l'annullamento della capacità di intendere e di volere dell'agricoltore. L'incarico formale sarà affidato ai professori Gianfranco Denes, Giuliano Avanzini e Mario Tantalo. L'organo giudicante, presieduto da Silvio Giorgio, ha riaperto, quindi, la questione preliminare dell'imputabilità del serial killer. La presenza, accanto ai due neurologi, di uno psicopatologo forense, lascia presumere che sarà chiesto, un parere sul piano neurologico e non solamente su quello psichiatrico previsto dall'incarico. Questa soluzione è importante, perché i periti d'ufficio del Gip e i periti dell'accusa in primo grado, non erano neurologi, mentre questa specializzazione aveva il professor Pinto, che, nei risultati delle analisi da lui svolte, aveva svelato un "buco nero" nel cervello del periziando.

I difensori di Gianfranco Stevanin hanno riportato altri due parziali successi nella prima udienza. Il primo è stato quando la Corte ha disposto l'acquisizione del verbale in lingua originale (tedesco) dell'interrogatorio di Barbara Adlassnig, sorella di una delle sei vittime, Roswita, scomparsa dopo un incontro con l'agricoltore nel maggio del 1993. Era stato uno dei punti controversi del dibattimento di primo grado, perché conteneva un'indicazione temporale dell'ultima telefonata ai familiari da parte della prostituta austriaca, che poteva scagionare Stevanin per uno dei sei delitti. Infatti, Barbara Adlassnig, parlava del settembre 1993, quindi, quattro mesi più tardi dell'incontro con il serial killer. Un supplemento di indagine dei carabinieri aveva portato la Corte di Verona a ritenere che la donna si fosse confusa e a considerare prevalente il riferimento ad una fiera che si tiene a Graz (città dove risiedeva) a maggio, in occasione della quale Roswita aveva promesso di tornare a casa con dei regali per i due figli.

La Corte veneziana si era riservata anche di decidere anche sulle cause della morte della Pulejo. Dal Maso, infatti, ha rilanciato l'ipotesi del decesso per overdose, contro quella per soffocamento della tossicodipendente, che era stata, invece, accolta da giudici di primo grado. Le parti civili, invece, hanno presentato la propria rinuncia a costituirsi in appello, visto che poche settimane prima erano state risarcite grazie alla vendita dei poderi in via del Brazzetto e via Torrano, dove Stevanin aveva seppellito alcuni dei cadaveri delle proprie vittime. E, così come era stato profilato da alcuni, si ha un clamoroso rovesciamento delle conclusioni della Corte d'Assise di Verona. I periti, infatti, hanno stabilito che, quando Stevanin uccideva, anche se lo ha fatto più volte, era incapace di volere, perciò non punibile. Giuliano Avanzini, Gianfranco Denes e Mario Tantalo hanno decretato che, al momento di compiere gli omicidi di cui l'agricoltore è stato accusato, aveva una "capacità di intendere grandemente scemata, mentre era esclusa la capacità di volere".

I periti della Corte d'Assise d'Appello hanno, perciò, privilegiato gli aspetti neurologici rispetto a quelli psichiatrici e hanno riscontrato in Gianfranco Stevanin una forma di epilessia causata da una lesione cerebrale frontale destra, provocata dall'incidente motociclistico, e lesioni atrofico-degenerative di entrambi i lobi frontali del cervello. E proprio questi danni avrebbero influito sulla sua volontà nel momento di uccidere. Stevanin, invece, sarebbe stato pienamente consapevole sia nel compiere atti di violenza sessuale, sia nell'occultare i cadaveri delle sue vittime. La loro conclusione è stata tuttavia concorde nel definire socialmente pericoloso il periziando. Di fronte ad una perizia d'ufficio di questo tipo, pochi spazi sono rimasti per l'accusa. Il procuratore generale Augusto Nepi, al termine della requisitoria, chiede perciò 13 anni di reclusione per l'occultamento e la distruzione dei cadaveri e l'assoluzione per i reati di omicidio.

Alla richiesta di condanna ha poi aggiunto anche l'applicazione della misura di sicurezza di dieci anni a causa della pericolosità sociale dell'imputato. Il P.G., pur condividendone le conclusioni, ha sottolineato l'esistenza di "contraddizioni e lacune" nel lavoro dei periti, da cui non emergerebbero con chiarezza i "fattori scatenanti degli atti omicidiari, che non possono essere giustificati da lesioni craniche". (61) Per il calcolo complessivo della pena, il magistrato ha chiesto il massimo previsto per il reato di vilipendio di cadavere, sette anni, per l'episodio più grave, più quattro per gli altri episodi legati agli omicidi contestati per i quali non è punibile. Infine due anni di reclusione per l'episodio di tentata violenza sessuale a Maria Luisa Mezzari. Il procuratore generale aveva "scontato" a Stevanin anche l'accusa di omicidio nei confronti di una donna di cui rimangono alcune fotografie che la ritraggono con lesioni conseguenti a pratiche di "sesso estremo".

A detta di Nepi, infatti, non si può presumere che la donna ritratta fosse priva di vita. I legali di Gianfranco Stevanin, invece, hanno insistito sulla completa non punibilità del loro assistito chiedendone l'assoluzione. Le reazioni delle parti, come prevedibile, erano del tutto contrastanti. I difensori dell'imputato cantano vittoria, anche se ritengono più giusto tenerlo sotto osservazione per un lungo periodo di osservazione, data la sua pericolosità. L'avvocato Bastianello, che rappresentava la madre di Biljana Pavlovic nel primo processo, si dichiara "esterrefatto", trovando la valutazione psichiatrica dei periti anomala; ritiene, infatti, che, interpretando a segmenti la personalità dell'imputato, non ne sia stata valutata appieno la personalità.

L'avvocato Guarienti, difensore della madre della Pulejo in primo grado, commentando la sentenza, sostiene invece che il discorso dell'incapacità di volere poteva esser valido solo per il primo omicidio, non quando si hanno uccisioni ripetute. "Il processo lo stanno facendo le perizie, non i giudici", afferma Giampaolo Cazzola, che assisteva i fratelli della Pulejo; a Verona, sostiene, i giurati avevano avuto la possibilità di avere Stevanin sotto gli occhi per molti giorni e di valutarne il comportamento. A Venezia questo non è avvenuto. Continua affermando che: "la svolta processuale dimostra quanto sia stata azzeccata la decisione di chiudere l'accordo per i risarcimenti prima dell'Appello. Almeno i parenti delle vittime hanno avuto qualcosa, altrimenti, oggi, non potrebbero accampare nessuna pretesa". (62)

Spetta a questo punto ai giudici di Venezia emettere la sentenza.


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